
Gara TPL, il fallimento di Rossi non dipende dall'inchiesta. Ma vanno riviste le procedure per gli appalti
La gara per l’individuazione di un gestore unico del trasporto pubblico locale in Toscana è uno dei più grandi fallimenti della gestione di Enrico Rossi, ma non certo a causa l’inchiesta che lo vede coinvolto. Quest’ultima, infatti, è semplicemente l’inevitabile conseguenza di un progetto nato male e proseguito peggio. I magistrati avranno il compito di accertare se il presidente abbia cercato o meno di pilotare la gara, ma, a prescindere dall’esito delle indagini, il mio giudizio sulla gestione dell’intero progetto resta molto negativo. In cinque anni, infatti, non solo non si è stati in grado di arrivare a un’aggiudicazione del servizio, ma nel frattempo i costi del trasporto pubblico locale per i cittadini sono persino lievitati, nonostante il servizio sia rimasto quello di prima, con autobus che prendevano fuoco, corse saltate, contratti di lavoro ridimensionati e nessun investimento significativo. Il tutto, con il benestare di Rossi e Ceccarelli che hanno disposto l’aumento delle tariffe. Una presa in giro dei cittadini, determinata proprio dall’incapacità di portare a conclusione una gara da 4 miliardi di euro. A questo punto è urgente un ripensamento delle procedure per gli appalti pubblici. Guai a chi dovesse sfruttare questo episodio per sostenere la necessità di ridurre i controlli: serve il massimo rigore nella fase iniziale, con controlli puntuali sui partecipanti. E serve una commissione terza indipendente che valuti ogni assegnazione fatta per servizi al di sopra del milione di euro. Una volta assegnato l’appalto, però, bisogna fare in modo che non si possano presentare ricorsi all’infinito, paralizzando un servizio essenziale. Il tema è complesso, ma serve un colpo di reni da parte della politica.